21Si respirava ottimismo, a inizio febbraio, alle prime grandi fiere americane in presenza, affollate da imprese italiane. A Las Vegas, dal 6 all’8 febbraio, sventolava il tricolore sull’expo gastronomica maggiore degli Stati Uniti. Al Winter Fancy food show, infatti, il padiglione italiano era, come ai bei tempi pre-Covid, il più ampio spazio espositivo dell’area internazionale, con 85 imprese in vetrina (più tante altre fuori padiglione). In 800 mq era rappresentata l’intera gamma del made in Italy agroalimentare, sotto il segno distintivo “The extraordinary Italian taste”.

In contemporanea, in Illinois, 54 piccole e medie imprese del settore moda e accessori affollavano il padiglione tricolore alla Chicago collective, la più prestigiosa fiera della moda uomo in Nord America. E un’altra trentina di aziende italiane erano presenti con un proprio stand.

Per entrambe le fiere, gli espositori italiani hanno goduto del sostegno dell’Ice (l’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese), che a Chicago ha organizzato l’apprezzato padiglione tricolore all’insegna dell’ “Extraordinary Italian style”. La buona accoglienza riservata agli espositori italiani, registrata anche dai media locali e specializzati, è indice dell’alta reputazione del made in Italy negli Stati Uniti, che genera un business di assoluto rilievo.

Il felice momento dell’export italiano è suffragato anche dai dati. Secondo le rilevazioni delle dogane Usa diffuse dal Department of Commerce e rilanciate dall’ambasciata a Washington – guidata dall’ambasciatrice Mariangela Zappia – le esportazioni italiane negli Usa tra gennaio e novembre 2021 sono cresciute del 25,2% sullo stesso periodo dell’anno precedente: un aumento superiore sia alla media Ue (+6,5%) sia a quello italiano pre-pandemico (+6,1% sul 2019). La speranza è superare la soglia dei 60 miliardi di dollari sempre sfiorata (pari a circa 52,5 miliardi di euro). L’export italiano era andato vicino a questo traguardo nel 2019, con 59,5 miliardi di dollari di valore di esportazioni, scese poi a 49,5 del 2020 per la prolungata pandemia.

A tirare la volata, nei primi 11 mesi del 2021, sono i settori best performer: in testa moda e accessori (+59,8%) in forte rialzo dopo il calo del -14,8% registrato nel 2020; seguono semilavorati e componenti (+46,0%), arredamento ed edilizia (+34,0%) e meccanica (+29,4%). Bene anche alimenti e bevande, che a ottobre 2021 hanno fatto registrare un aumento del +21,4% secondo l’Ice di New York. L’Italia è il primo fornitore americano per molte sue specialità tipiche, come pasta, olio di oliva, formaggi, aceto balsamico, acque minerali, gelato.

Non stupisce, quindi, che le stesse dinamiche si siano registrate nella classifica dei Campioni dell’export, elaborata da Statista e dal Sole 24 Ore. Il 63% delle 200 aziende del ranking annovera gli Stati Uniti fra i mercati principali, quasi alla pari della Germania. In evidenza ci sono gli stessi settori identificati come locomotive a livello generale: la meccanica – con i macchinari per il packaging e per l’industria farmaceutica in evidenza – e il food & beverage fra tutti.

Gli ingredienti del successo? «Tanto e-commerce, forte assistenza post vendita, grande design, alta tecnologia, qualità garantita, buon prezzo, flessibilità contrattuale, alta personalizzazione dei prodotti, buone strategie per entrare nella grande distribuzione organizzata americana», elenca Thomas Clark, senior partner di Statista. Nel ranking spicca ad esempio il caso di Pagani, azienda alimentare lombarda, che produce in formula private label i tortellini e altre specialità vendute da Trader Joe’s, la più amata catena Gdo americana.

Sono aziende di questo tipo che hanno fatto degli Stati Uniti il principale mercato extra-Ue dei beni italiani. La 12esima posizione fra i paesi fornitori degli Usa può essere migliorata. E l’ottimismo respirato alle fiere di Las Vegas e Chicago pare più che giustificato.

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